di Lorenzo Ottaviani.
Al centro del Sant’Elia di Cagliari, in una Domenica apparentemente uguale a tante altre, c’è un uomo sulla settantina, il fisico incurvato dall’età, gli occhi resi umidi dalle lacrime e dai ricordi. Quegli occhi ancora così determinati e fieri di un uomo che adorava fare ciò che gli riusciva meglio: mettere la palla in fondo al sacco per difendere i suoi colori, il rosso e il blu, il Cagliari.
Quell’uomo è Gigi Riva mentre riceve il Collare d’Oro, il massimo riconoscimento conferibile dal Coni, davanti a 17 mila persone giunte lì per omaggiarlo.
Riva è stato non solo il simbolo di una città, che condusse allo storico Scudetto del 1970, ma anche di una Nazione intera; difatti detiene tutt’ora il record di segnature in Nazionale (ben 35 in appena 42 presenze) e ha contribuito con un goal in finale all’unica vittoria europea degli Azzurri nel 1968. Parliamo di uno degli attaccanti più forti a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, un calciatore in grado di interpretare il ruolo di ala sinistra in maniera incisiva e moderna, un uomo determinato e un vero professionista che si è distinto anche nel ruolo di team manager della Nazionale, dopo aver appeso gli scarpini al chiodo.
L’abbraccio con Buffon, l’abbraccio del suo popolo, l’abbraccio dell’Italia intera per una persona che si è legata a vita alla città che lo ha accolto come un figlio e abbracciato come un fratello. Una storia d’amore che non è ancora giunta al termine dopo tanti anni, che ha ancora da raccontare e da emozionare per far sì che anche i nostri occhi possano inumidirsi pensando: grazie Rombo di Tuono, grazie.